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La schizofrenia

Malattie e disturbi mentali


LA SCHIZOFRENIA

Le informazioni qui riportate hanno solo un fine illustrativo: non sono riferibili né a prescrizioni né a consigli medici – Leggi le avvertenze

La schizofrenia è una forma di malattia psichiatrica caratterizzata, secondo le convenzioni scientifiche, da un decorso superiore ai sei mesi (tendenzialmente cronica o recidivante), dalla persistenza di sintomi di alterazione del pensiero, del comportamento e dell'emozione, con una gravità tale da limitare le normali attività della persona.

Il termine, coniato dallo psichiatra svizzero Eugen Bleuler nel 1908, deriva dal greco (schizo, scissione) e (phrenos, cervello), 'mente divisa'. Il termine proposto da Bleuler sostituì quello ottocentesco di Dementia Praecox, proposto da Emil Kraepelin.

È da tenere presente che schizofrenia è un termine piuttosto generico che indica non una entità nosografica unitaria, ma una classe di disturbi, tutti caratterizzati da una certa gravità e dalla compromissione del cosiddetto "esame di realtà" da parte del soggetto. A questa classe appartengono quadri sintomatici e tipi di personalità anche molto diversi fra loro, estremamente variabili per gravità e decorso.

In casi molto gravi i sintomi possono arrivare alla catatonia, al mutismo, provocare totale inabilitazione. Nella maggioranza dei casi di schizofrenia vi è qualche forma di apparente disorganizzazione o incoerenza del pensiero. Vi sono però certe forme dove questo sintomo non compare, e compaiono invece rigide costruzioni paranoidi.


Panoramica generale


La schizofrenia si caratterizza, secondo la tradizione medica, per due tipi di sintomi:

* sintomi positivi: sono comportamenti o esperienze del soggetto "in più" rispetto all'esperienza e al comportamento dell'individuo normale. Si possono perlopiù includere sotto il termine più generale di psicosi. Questi sintomi possono essere: le idee fisse, i deliri, le allucinazioni e il disordine del pensiero (per la diagnosi non occorre che si manifestino tutti questi sintomi, a seconda dei casi è sufficiente che ve ne siano uno o due).

* sintomi negativi: sono chiamati così quelli che sono diminuzione, declino o scomparsa di alcune capacità o esperienze normali del soggetto. Possono includere inadeguatezza nel comportamento della persona, distacco emotivo o assenza di emozioni, povertà di linguaggio e di funzioni comunicative, incapacità di concentrazione, mancanza di piacere (anedonia) e mancanza di motivazione.


Alcuni modelli descrittivi nella schizofrenia includono un terzo tipo di sintomi (schizofrenia di terzo tipo detta sindrome disorganizzata) dove compaiono soprattutto disordine del pensiero e problemi di pianificazione. I sintomi possono prendere la forma di deficit neurocognitivi: si tratta dell'indebolimento di alcune funzioni di base quali la memoria, l'attenzione, la risoluzione di problemi, la funzione esecutiva e la cognizione sociale.

Storia e prime classificazioni


È una malattia antica, nota già nel mondo classico greco-romano[1] e non completamente sconosciuta presso gli antichi Egizi,[2] che però per molti secoli è stata confusa con stati di possessione demoniaca.
I primi casi di schizofrenia riportati dalla letteratura medica risalgono al 1797, grazie alle opere di James Tilly Matthews, e alle pubblicazioni effettuate da Philippe Pinel nel 1809.[3] Fu, invece, lo psichiatra Emil Kraepelin, nel 1883, il primo sia ad individuare quelle alterazioni che attualmente vengono definite neuropsicologiche, ossia demenza e la sua manifestazione precoce demenza precoce, che in seguito venne appunto rinominata schizofrenia da Eugen Bleuler, sia a introdurre una classificazione dei disordini mentali più vasta e completa (includente depressione unipolare, bipolare, maniacale, etc.).[4]

Nel suo Trattato di psichiatria Kraepelin aveva già individuato tre forme possibili di schizofrenia:

* schizofrenia ebefrenica, in cui prevale la dissociazione del pensiero
* schizofrenia paranoica, dove prevalgono idee fisse, allucinazioni e deliri
* schizofrenia catatonica, in cui prevalgono i "disturbi della volontà" o disorganizzazione comportamentale.

La scelta del termine schizofrenia, fa riferimento alla interpretazione data all'epoca a questa malattia, alla definizione teorico-clinica del disturbo come: dissociazione, ovvero una separazione o mancata interazione tra il pensiero e la percezione della realtà da parte del soggetto. Bleuler, con le sue prime ricerche del 1908 ed in seguito con la classica sistematizzazione del 1911 (Dementia Praecox oder Gruppe der Schizophrenien), codificò anche la differenza tra sintomi positivi e negativi.

Il dibattito scientifico intorno alla schizofrenia


L'esistenza della condizione schizofrenica, attribuibile a una parte dell'umanità, era in un certo senso nota da secoli nella cultura occidentale. La condizione di disadattamento e incapacità di comunicare con altri dell'individuo si associa al nome tradizionale di follia, e le persone colpite da tale disadattamento grave potevano essere chiamate "maniaci", "folli" o "indemoniati" e così via.

L'affermarsi di un'osservazione sistematica è stata concomitante allo sviluppo della psichiatria, sono seguiti tentativi di "curare" i "folli" con metodi ispirati a principi scientifici. Ciò avvenne nel corso dell'800 in luoghi che in effetti erano solo strutture di contenimento o segregazione come sanatori, manicomi e carceri. La "spiegazione" della schizofrenia rimaneva un mistero, e secondo molti lo è tuttora: i modelli descrittivi delle varie scuole di psicologia e della psicanalisi come pure le indagini della neurologia non descrivono in tutti gli aspetti il funzionamento della mente e non danno una risposta definitiva. Vi sono autori che hanno anche teorizzato che la malattia mentale sia necessariamente da considerare un mistero e che una risposta semplicemente non c'è: la posizione è esemplificata da Karl Jaspers, che sostiene che la condizione psicotica non ha nessun contenuto e non si deve cercare una spiegazione razionale all'interno del vissuto del malato. L'idea diametralmente contraria, formulata da Ronald David Laing, è che la psicosi - cioè fenomeno in cui il comportamento e la comunicazione del paziente ci appaiono totalmente illogici - sia in realtà una esperienza umana perfettamente comprensibile al pari di tutte le altre, che può esere immaginata empaticamente da chi volesse porsi nel punto di vista adatto.

L'approccio diagnostico e trattamentale alla schizofrenia, fin dal problema della sua definizione, è stato oggetto di forti dibattiti nella storia della medicina. Il movimento anti-psichiatrico, che ispirandosi a Laing giunse anche a conclusioni estreme, pose in evidenza come la classificazione di alcuni pensieri e comportamenti di determinati individui come "malattia", è semplicemente ciò che permette il controllo sociale di persone considerate indesiderabili, inaffidabili o scomode per la società, persone che tuttavia non hanno commesso alcun crimine. In effetti il termine stesso "schizofrenia" funziona come un'etichetta o uno stigma, ma in realtà - ciò si evidenzia dalle diagnostica complessa dei sintomi - è un termine che definisce piuttosto il grado della sofferenza psichica, in termini di isolamento, inabilitazione e capacità comunicative della persona colpita da disagio psichico. Il termine schizofrenia nonostante l'effetto di stigma ha un confine semantico complesso e indefinito, che può rendere il suo uso privo di significato clinico, e secondo alcuni sarebbe meglio non usarlo affatto. La questione dell'uso del termine non risolve però il problema dell'esistenza di malattie mentali molto gravi. In merito alle psicosi schizofreniche, la posizione antipsichiatrica classica (quella sorta nel periodo della maggiore contestazione, negli anni '60 e'70) sembra mostrare oggi anche i limiti esplicativi basati sui suoi assunti - talvolta intrecciati a formulazioni squisitamente ideologiche e non osservazionali - così che nemmeno le idee anti-psichiatriche riescono a rendere conto di tutti i dati oggettivi.

Allo stato delle conoscenze scientifiche, molti aspetti della malattia restano oscuri, la schizofrenia è uno dei 'buchi neri' della medicina, a partire dalla formulazione della diagnosi come nelle forme di trattamento. Rappresenta una continua sfida per il curante poiché è costretto 'comunque' a fare delle scelte, cioè delle precise assunzioni di responsabilità, senza essere sostenuto da informazioni certe sulle cause, sulla diagnosi, sulla terapia e sul decorso. Per es., se vengono prescritti neurolettici, ciò comporta una serie di implicazioni che spingono verso una direzione; se viene avviata una psicoterapia, ci sono tutta una serie di implicazioni logico pragmatiche che spingono in un'altra, ma nessuna delle due posizioni è sostenuta da criteri oggettivi tranne che non si voglia considerare tra questi il criterio 'ex adiuvantibus' (dai giovamenti).

Le analisi sulla malattia sono in gran parte analisi correlate, ma non distinte, tanto del comportamento abnorme del paziente quanto delle reazioni di chi sta vicino a quel comportamento, si tratti di familiari, amici o di una equipe curante. Tutta la storia della schizofrenia è una storia di azioni e reazioni: sintomi, segni e rifiuti, ospedali psichiatrici e case di cura, azioni 'inconsulte' (a volte semplicemente incomprensibili), interventi dell' 'ordine pubblico' e psichiatri. Lo stesso Kraepelin, che pure ebbe la grande intuizione di unificare quadri clinici apparentemente diversi, li studiò negli ospedali psichiatrici dell'epoca, con l'immaginabile attendibilità, specie sotto il profilo del decorso e dell'esito.

Diagnosi (criteri DSM IV-TR)


Per la diagnosi di schizofrenia conta sia la natura sia la durata dei sintomi (sintomi che differiscono per durata caratterizzano ad esempio il Disturbo schizofreniforme).

La forma abbreviata dei criteri diagnostici DSM-IV-TR: La diagnosi di schizofrenia richiede il soddisfacimento del seguente criterio:

A) (Sintomi caratteristici) La presenza persistente di due o più dei sintomi che seguono, per un periodo significativo che si considera di almeno un mese (si osserva che la durata può essere inferiore se il sintomo recede a seguito di trattamento):

* deliri
* allucinazioni
* disorganizzazione del discorso verbale (es: perdere il filo, incoerenza, divagazione e espressione troppo astratta)
* grave disorganizzazione del comportamento (es. nel vestiario, nelle abitudini diurne, disturbi del sonno, disforia, piangere o ridere frequentemente e inappropriatamente), oppure stato gravemente catatonico
* presenza di sintomi negativi, cioè che trasmettono un forte senso di disinteresse, lontananza o assenza del soggetto: appiattimento affettivo (mancanza o forte diminuzione di risposte emozionali), alogia (assenza di discorso), avolizione (mancanza di motivazione), disturbi dell'attenzione e delle capacità intellettive, assenza di contatto visivo

Nota: Il soddisfacimento del criterio A è l'unico richiesto (cioè per la diagnosi non si richiede il soddisfacimento dei punti B e C) solo nel caso che le idee fisse siano bizzarre e irrealistiche, oppure nel caso che le allucinazioni consistano nell'udire due o più voci identificabili come irreali che parlano fra loro, oppure una voce che "commenta" in diretta le azioni e percezioni del paziente.

B) Deficit o disfunzione sociale e/o occupazionale: Per un periodo di tempo significativo uno o più degli ambiti principali della vita del soggetto sono gravemente compromessi rispetto a prima della comparsa del disturbo (lavoro, relazioni interpersonali, cura del proprio corpo, alimentazione ecc.)

C) Durata: persistenza dei sintomi "B" per almeno sei mesi, che includano almeno un mese di persistenza dei sintomi "A".

Esistono ulteriori criteri (D, E ed F) che servono per diagnosi differenziali o per escludere la schizofrenia nel caso in cui sia stato diagnosticato un disturbo dell'umore grave (come la depressione maggiore); oppure in caso di grave disturbo dell'età evolutiva, o disturbi neurologici dovuti a condizioni mediche generali, o che i sintomi siano effetto dell'uso di sostanze come droghe o farmaci.

Sottotipi

La classificazione più tradizionale considera quattro forme principali di schizofrenia: la schizofrenia catatonica; la schizofrenia ebefrenica; la schizofrenia paranoide, e la schizofrenia semplice. Il criterio DSM classifica ad oggi cinque forme, indicate di seguito. È indicata a fianco la classificazione alfanumerica corrispondente nelle tabelle ICD 9 (a sinistra) e ICD 10 (a destra) dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. Il criterio ICD 10 identifica invece 7 forme.

* (295.2/F20.2) tipo catatonico: dove sono evidenti macroscopici disturbi psicomotori, come ad esempio lo stupore catatonico, rigidità o flessibilità anomale del tono muscolare
* (295.1/F20.1) tipo disorganizzato (o ebefrenico): l'appiattimento affettivo (chiusura in sè, disinteresse ecc.) è presente insieme alla disorganizzazione del pensiero, eventuali disordini del comportamento
* (295.3/F20.0) tipo paranoide: i sintomi principali sono idee fisse (deliri) che includono allucinazioni, ma possono essere assenti i disturbi/disorganizzazione del pensiero o comportamento e appiattimento affettivo. Questa forma compare frequentemente dopo i 35 anni in pazienti che hanno già qualche disturbo strutturato, con decorso lento e insidioso[senza fonte].
* (295.6/F20.5) tipo residuo: viene definita così una forma dove i sintomi positivi (psicotici ma non paranoidi) sono presenti ma hanno bassa intensità, mentre quelli negativi sono significativi. Spesso compare come esito di un disturbo psichico maggiore (es: episodio schizofrenico acuto, depressione maggiore)
* (295.9/F20.3) tipo indifferenziato: presenza di sintomi positivi (psicosi) non strutturati secondo i criteri delle precedenti forme

Diffusione


Epidemiologia

La schizofrenia è una malattia ubiquitaria, riscontrata in ogni epoca e cultura. Il suo tasso d'incidenza per un'unità di popolazione, in un dato periodo di tempo, è del 15-25% dei casi all'anno per 100.000 abitanti. Mentre il tasso di prevalenza varia tra lo 0,6% e lo 0,8%. Nel 75% dei casi l'esordio avviene in età giovanile (tra i 15 e i 35). Dopo i 35 anni sembra più frequente nella donna che nell'uomo. Alcuni studi dimostrano che non esistono differenze nella distribuzione tra i sessi; altri, invece, sostengono una maggiore prevalenza nell'uomo. I pazienti sono spesso non coniugati, o se lo sono hanno maggiori probabilità di divorziare. Si evidenzia una maggioranza del disturbo nelle classi socio-economiche più basse e tra gli individui con un livello d'istruzione inferiore. Questo potrebbe essere attribuito a quel fenomeno descritto dagli autori inglesi come "downdrift", conseguente alla malattia.

Eziologia


Gli psicologi e gli psichiatri sono ormai concordi nell'attribuire la causa di questo disturbo a un complesso mix di fattori genetico - biologico - psicologici. Un aumento della produzione della dopamina sembra giocare un ruolo chiave nell'eziologia di questa sindrome. Nella popolazione cosiddetta sana la probabilità di sviluppare ex novo la Schizofrenia si avvicina all' 1% del campione. Infine, non sono da sottovalutare le esperienze soggettive e il contesto familiare in cui il paziente affetto da schizofrenia viene allevato e in cui vive, poiché è dimostrato che l'ambiente è determinante nello sviluppo della malattia.

Esordio e decorso


La schizofrenia colpisce in media più frequentemente soggetti nella tarda adolescenza e nella prima fase dell'età adulta, ma alcune forme colpiscono prevalentemente persone adulte o di mezza età. I sintomi si manifestano generalmente prima negli uomini che nelle donne, anche se vi sono anche qui specifiche casistiche di incidenza femminile, ad esempio la schizofrenia catatonica "post-partum".

Il decorso della Schizofrenia è considerato dalla maggior parte degli studiosi tendenzialmente cronico, con l'alternanza di periodi di acuzie e di remissione dei sintomi. Solo in rari casi è stata osservata la scomparsa dei sintomi; la frequenza e la durata delle esacerbazioni acute successive al primo episodio non sono prevedibili. Le situazioni di stress o l’abuso di sostanze possono causare la riacutizzazione (Linszen, 1994). I sintomi che precedono la riacutizzazione includono: disforia, isolamento, disturbo del sonno, ansia, idee di riferimento (Herz, 1985). Va pur detto che in molti casi la cronicità della malattia è solo presunta essendo basata su dati clinici ed epidemiologici parziali. In assenza di una periodica catamnesi, i casi di guarigione sfuggono all’osservazione.

Decorso favorevole, remissioni più frequenti e prognosi migliore sono più probabili negli esordi acuti e floridi; scadenti capacità intellettive e livello socio-ambientale basso sono elementi prognostici sfavorevoli; ogni qualsivoglia elemento deficitario significa decorso sfavorevole, remissioni meno probabili e prognosi peggiore.

* La maggior parte dei soggetti che sviluppano il Disturbo perdono il posto di lavoro, oppure interrompono gli studi e riducono al minimo i contatti sociali
* I soggetti che sviluppano il Disturbo provano livelli molto alti di sofferenza
* Il 10 % circa di loro si suicida
* Il 75% circa di coloro che sviluppano il Disturbo viene preso in carico in maniera pressoché definitiva dai Servizi Psichiatrici nel giro di pochi anni dopo l’esordio

Inoltre il decorso della malattia è influenzato dalla scarsa flessibilità delle risposte terapeutiche e dalla ardua integrazione relazionale e sociale in conseguenza dello stigma. Le associazioni ideiche di alcune persone sono diverse dall’ordinario, tendono alla ‘divergenza’, alla estensione interpretativa e fantastica, piuttosto che alla convergenza del pensiero logico ‘adulto’, ma sono potenzialmente generatrici di espressioni creative. Queste funzioni mentali ‘speciali’, in situazioni esistenziali ad alto livello di stress e di spiacevolezza affettiva, favoriscono l’insorgenza della malattia. Esse richiederebbero risposte ‘straordinarie’ come la sperimentazione guidata di nuovi orizzonti ‘operativi’ piuttosto che la chiusura di porte e finestre.[senza fonte]


Periodo di stato


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La schizofrenia presenta un quadro clinico molto complesso, caratterizzato da :

Disturbi della forma del pensiero


Alterazioni del flusso idetico fino alla fuga delle idee e all'incoerenza. Esistono vari disturbi formali del pensiero:

* Accelerazione: aumenta la velocità associativa, aumento della produzione verbale, nei casi più estremi fuga delle idee.
* Rallentamento: contrario dell'accelerazione, diminuzione della velocità associativa e del contenuto idetico, nei casi estremi, arresto del pensiero
* Deragliamento: perdere il filo del discorso passando da un argomento all'altro
* Tangenzialità: risposte collegate ad una domanda in modo obliquo oppure completamente scollegate
* Illogicità
* Ridondanza procedurale
* Neologismi: utilizzo di termini coniati ex novo per indicare concetti del tutto personali
* Concretismo: incapacità di fare astrazione e ragionare su cose astratte come fede, famiglia, stato. Tendono a far riferimento sempre a cose concrete. Incapacità di interpretare proverbi o modi di dire

Disturbi del contenuto del pensiero


Il delirio: convincimento derivante da un abnorme errore di giudizio, impermeabile alla critica, spesso a contenuto bizzarro, talvolta sostenuto da allucinazioni uditive. Corrisponde ad un modello mentale della realtà svantaggioso, dal momento che le decisioni prese in base ad un delirio conducono a comportamenti inadeguati e quindi ad un adattamento di livello inferiore. Il delirio, per essere diagnosticato come tale, deve essere fermamente sostenuto dal soggetto delirante, anche se la realtà e gli altri soggetti ne dimostrano la falsità, è assolutamente immodificabile. Non viene considerato dal soggetto come patologico, perché è assolutamente uguale alle altre idee. Totale mancanza di critica. I contenuti del delirio possono essere vari. Abbiamo deliri di:

* Persecuzione
* Riferimento
* Gelosia
* Nichilistici
* Controllo
* Ipocondriaci
* Religiosi
* Grandezza

Disturbi dell'affettività


I disturbi dell'affettività comprendono:

* Atimia: apparente mancanza di risonanza affettiva del soggetto verso se stesso e verso gli altri;
* Labilità affettiva: cioè passaggio repentino dalla gioia alla rabbia o alla tristezza;
* Incongruenza affettiva: per cui le manifestazioni affettive non risultano appropriate fino alla paratimia, in cui le manifestazioni affettive sono di segno opposto rispetto a quelle che le circostanze giustificherebbero (es. ilarità di fronte a una notizia tragica);
* Ambivalenza affettiva: ossia l'attribuzione di affetti opposti e contrastanti, come ad esempio amore/odio, nei confronti di un'altra persona, solitamente un genitore o un altro familiare.


Disturbi della percezione


Sono rappresentati da allucinazioni, ovvero percezioni senza oggetto, che possono essere:

* Uditive caratterizzate da voci udite dal paziente, generalmente esse hanno caratteristiche minacciose e allusive verso il paziente stesso, fino ad imporgli di compiere determinate azioni (allucinazioni imperative) con pericolo in alcuni casi di suicidio, oppure voci udite dal paziente che conversano tra loro (colloquio di voci), senza rivolgersi a lui. Le voci possono anche parlare tra di loro sul paziente.
* Visive rare, solitamente causate dall'abuso di sostanze.
* Olfattive ancora più rare delle visive, spesso sono l'effetto di tumori cerebrali

Disturbi degli istinti


Disturbi dell'azione


Sono classificabili in tre categorie:

* Immobilismo - acinesia
* Perseverazioni
* Afinalismo

Disturbi della sessualità


Anomalie nel comportamento in adolescenti e giovani adulti si possono riscontrare anche nella sfera sessuale. In questa sfera la persona schizofrenica incontra molte difficoltà; di conseguenza, così come avrà problemi nel fare amicizia, avrà anche molti problemi nel trovare un partner stabile con cui avere un rapporto sessuale soddisfacente. Per questo spesso alcuni pazienti schizofrenici vivono una vita sessuale promiscua, avendo rapporti occasionali con più persone. Molto invece capita che il malato si fermi a una sessualità tipicamente adolescenziale, facendo quindi ricorso alla masturbazione. Altre volte invece la persona si lamenta della caduta delle sue capacità sessuali, ma si tratta quasi sempre di un effetto collaterale degli antipsicotici.

Terapia


La terapia può essere effettuata con farmaci neurolettici (antipsicotici), i quali agiscono soprattutto sui deliri e sulle allucinazioni, diminuendo il senso di angoscia e le reazioni aggressive. Alcuni antipsicotici specifici possono essere d'ausilio anche in una moderata riduzione dei sintomi negativi. Antipsicotici atipici, o di nuova generazione, sono: la olanzapina, la clozapina, il risperidone, la quetiapina, ed i recenti aripiprazolo ed amisulpiride.

È indicata anche la psicoterapia, che può coinvolgere o meno familiari e conoscenti, allo scopo di individuare eventuali difficoltà relazionali col malato e gestire il suo isolamento. Inoltre la psicoterapia può aiutare il paziente a contestualizzare il problema e le risposte dell'ambiente, rendendolo maggiormente autoconsapevole, facilitando il contatto di realtà e rinforzando l'Io.

Le ultime ricerche ed esperienze sia in campo psichiatrico che psicoterapico dimostrano che un approccio integrato (farmacologico + psicoterapeutico) ottiene un controllo migliore della patologia. Possono a volte risultare utili anche tecniche che inducono un leggero stato di autoipnosi (come il training autogeno), tutte le tecniche di rilassamento muscolare e respiratorio, lo yoga e la meditazione (ma solo a livello complementare, e sempre sotto espressa indicazione psichiatrica).

Le terapie del passato, come le applicazioni elettroconvulsivanti (elettroshock) e l'insulinoterapia, non hanno mai dato risultati apprezzabili e sono sempre meno impiegate. Va detto che la TEC (terapia elettroconvulsivante) viene ancora oggi utilizzata nelle forme particolarmente resistenti ai farmaci, sebbene in condizioni molto più controllate di quanto non si facesse in passato.

Ci sono tre principali componenti per il trattamento della schizofrenia:

* Farmaci, per alleviare i sintomi e prevenire le ricadute.
* Interventi educativi e psicosociali, per aiutare i pazienti e le loro famiglie a risolvere i problemi, confrontarsi con gli stress, rapportarsi con la malattia e le sue complicanze, ed aiutare a prevenire le ricadute.
* Riabilitazione sociale, per aiutare i pazienti a reintegrarsi nella comunità e riguadagnare le capacità sociali ed occupazionali.

FONTE
Wikipedia, l'enciclopedia libera

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